Narghile’ y Jamon: Fiesta de barrio a Lavapies

In Vuelvo a Madrid Ismael Serrano canta: “Lavapiés nos recibe, fruta de narguile, explosión de color”. Non penso ci sia una strofa di una canzone, di una poesia che esprima più intensamente le sensazioni sinestetiche che si percepiscono quando si arriva a Lavapiès a ogni ora del giorno e della notte. Lavapiès, quartiere nel quartiere Delicias, nel distretto di Arganzuela, Lavapiès, piazza di Madrid, via di Madrid, stazione della metropolitana di Madrid.

Lavapiès, barrio che si ama o si odia, barrio storico che ha tatuato nel suo nome l’identità multiculturale che lo distingue, Lavapiès, barrio anticamente abitato dagli ebrei, Lavapiès antica fonte, situata nell’omonima piazza, utilizzata per il sacrale atto di lavarsi i piedi prima di accedere al luogo di culto. Lavapiès, scheggia impazzita di Madrid, matrioska di lingue e culture, microcosmo esotico, etnico, sregolato, libero, tranquillo, pericoloso, vecchio rifugio degli okupas, meta di giovani bohémiens, culla di musica latina, elettronica, rock, pop, folk, etno; zona franca di ristoranti dalle mille bandiere, Lavapiès, calderone di dissomiglianze e similitudini.

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In questa calda notte d’estate c’è una fiesta de barrio qui a Lavapiès e poco dopo aver salito i gradini della metro ci insinuiamo in una dimensione in cui musica, profumi, luci, immagini e colori si fondono inebriando i nostri sensi. Passo dopo passo la fragranza della frutta diventa odore di carne alla piastra per poi stemperarsi in centinaia di aromi che ci portano subdolamente verso terre straniere. Passo dopo passo esploro la Torre di Babele viaggiando tra le lingue del mondo: dalla Spagna mi trasferisco in Portogallo, in Francia, in Sudamerica, in Cina, in Italia, in Svezia, in India, in Inghilerra, in Romania, in Polonia nel Maghreb, nei vari villaggi africani, terre distanti migliaia di chilometri, ma non a Lavapiès.Passo dopo passo vedo unirsi mani di sfumature dissimili, vedo bimbi mulatti con gli occhi a mandorla, vedo ragazzi filippini e spagnoli in bicicletta osservo la leggiadra bellezza del sorriso di una ragazza dominicana e il fascino intimo dello sguardo di una donna mediorientale, vedo tavolate con felafel, paella, cous cous, pollo al curry, mariscos, jamon , pasta, churros, vedo un mondo senza barriere, vedo un mondo senza bandiere.

Facciamo un giro tra le bancarelle, ci divertiamo al bingo sfidando con un sorriso giocatori di chissà quale provenienza, intoniamo note di canzoni che provengono dai bar, osserviamo i panni colorati stesi ai balconi che rendono la festa carnevalesca, scorgiamo una donna in pigiama rincorrere i suoi figli tra i carretti, respiriamo con gli occhi e con le orecchie la moltitudine del barrio prima di sederci per consumare dei caldi bocadillos e bere delle fresche cervejas. Sono le ultime ore qui in Spagna e le sto trascorrendo a Lavapiès con un vecchio amico, un ex collega e una persona appena conosciuta; mi alzo dalla panchina, mi isolo un attimo, mi guardo attorno, penso nuovamente alla canzone di Ismael Serrano e canto nella mia mente: “Soy afortunado. Yo siempre vuelvo a Madrid”.

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